
Intervista Ricky Petrucciani
1. Com’è stata la tua esperienza alle olimpiadi di Tokyo 2020?
Mi ricordo che guardavo in televisione le olimpiadi del 2016 e dicevo a mio padre che alle prossime volevo esserci anche io. Tokyo era il mio obiettivo e ho realizzato il mio sogno!
All’inizio eravamo a un’ora di distanza da Tokyo ed era strano perché eravamo chiusi in hotel in quarantena, potevano uscire solo per allenarci. In seguito ci siamo spostati nel villaggio, una mini-città dove si vedono le bandiere di tutti i Paesi sui palazzi. Il villaggio è un’esperienza unica.
Tokyo è immensa, moderna, con palazzi giganteschi. Dal villaggio allo stadio ci volevano circa 25 minuti in bus, entrare per la prima volta allo stadio mi ha dato una sensazione strana, era enorme ma vuoto, anche se sembrava pieno per i sedili con colori diversi solo che non si sentiva il pubblico.
2. Pressione gestita o diversa rispetto alle altre gare?
Nelle qualificazioni sentivo tanta pressione, le olimpiadi sono un contesto totalmente diverso, gareggi insieme ai migliori del mondo!
Ho cercato di pensarci il meno possibile ma la pressione era tanta, in più il caldo era pazzesco, c’erano circa 39-40 °C, lo si percepiva molto quando si passava dall’ombra al sole.
In Semifinale, avevo già rotto il ghiaccio quindi l’esperienza è stata diversa. Me la sono goduta molto di più anche perchè era alle 8 di sera e faceva meno caldo, infatti, il tempo è migliorato di mezzo secondo facendo 4:10 per la temperatura e la gestione dello stress.
3. Come dovrebbero essere corsi i 4 pezzi da 100 metri nella gara perfetta? Uguali o in accelerazione?
Dipende dall’atleta e da come vuole svolgere lui la gara. Io parto forte i primi 50-100m, poi cerco di tenere il ritmo faticando il meno possibile, la curva cerco di mantenerla alla stessa velocità, poi gli ultimi 120-100m dò il massimo.
4. Il fondo e le scarpe giocano un ruolo importante?
Le scarpe sono importanti, anche se sei tu che devi correre, ma la chiodata può darti un piccolo aiuto.
5. C’è stato, a Tokyo, un atleta che ti ha stupito che non ti aspettavi?
Mi ha stupito Kasrsten Warholm, il norvegese che ha i vinto i 400m ostacoli. Mi stupisce il suo modo di correre, è elegante, sembra quasi che non faccia fatica, e la tecnica di gara che usa: i primi 100m è praticamente inesistente, poi passa la linea dei 300m e inizia a correre.
Ovviamente mi hanno stupito anche le due svizzere, Ajla Del Ponte e Mujinga Kambudji nei 100m. L’atletica è uno sport che sta crescendo tantissimo in Svizzera.
6. Come si concilia la vita di un ragazzo di 20 anni con tutti questi impegni e pressioni?
È un po’ difficile da gestire, soprattutto quando ti alleni e non cresci, inizi a farti mille domande e a chiederti perché sei fermo sempre allo stesso tempo. È tutto mentale.
I sacrifici sono tanti, la vita non esiste quasi più. Quelli dell’antidoping ti martellano, vogliono sapere sempre dove sei.
7. A che età hai iniziato con l’atletica?
A 12-13 anni ho fatto un anno a pari con il calcio, mi piaceva tantissimo. Nell’atletica ero arrivato secondo sui 60m e sul chilometro in Svizzera. Chi vinceva si qualificava per la finale Svizzera e io sono arrivato secondo. Nonostante questo bel risultato ho deciso di smettere perché mi è stato chiesto di scegliere tra l’atletica e il calcio e in quel momento ho scelto il calcio. Ho fatto 2 anni nel team Ticino, ma durante le selezioni under 15 a 16 non mi hanno scelto, quindi ho ricominciato con l’atletica nel 2015.
